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Crisi del capitalismo e lotta di classe
La crisi in corso si annuncia come lunga e devastante. Gli stessi strenui difensori del sistema capitalistico, dalla Marcegaglia a Berlusconi, dai banchieri a Obama, sono costretti ad ammettere che "il peggio deve ancora venire". Per decenni ci hanno spiegato che il capitalismo, in un eterno sviluppo, avrebbe portato a un costante e progressivo miglioramento delle condizioni di vita delle masse lavoratrici. Oggi, la vera natura del capitalismo è sotto gli occhi di tutti. Il capitale cerca di contrastare la caduta tendenziale del tasso medio di profitto, cioè il rapporto fra suoi guadagni e le spese vive che deve sostenere (salari, “macchine” e materie prime), in tutti i modi possibili: centralizzazione e concentrazione dei capitali con conseguenti ristrutturazioni e dunque licenziamenti di massa e precarizzazione di tutti i rapporti di lavoro; attacco diretto e indiretto ai salari (affitti, bollette, tasse); attacco all'unità e solidarietà internazionale dei lavoratori attraverso politiche razziste, con espulsioni, respingimenti e veri e propri omicidi degli strati più sfruttati della classe operaia, cioè gli immigrati, divenuti capro espiatorio della crisi del sistema. Dopo aver inciso così profondamente e negativamente sulla “qualità” della vita presente e su quella futura della classe dei lavoratori, il capitalismo, non più tardi di un anno fa, è rovinato, come già detto, in una profonda crisi. In essa, che è crisi di sovrapproduzione, vediamo all'opera la più grande contraddizione del sistema presente. Mentre un mondo intero di diseredati e di lavoratori soffrono la fame o a stento arrivano alla fine del mese, le immense merci già prodotte giacciono invendute nei magazzini di tutto il mondo e i prezzi (quelli all'ingrosso soprattutto), insieme alla produzione, crollano miseramente. Anziché gli annunciati miglioramenti delle condizioni di vita, il capitalismo in putrefazione determina la distruzione delle forze produttive, con conseguenze catastrofiche soprattutto sulle nuove generazioni, condannate alla miseria e alla disoccupazione. Un organismo autenticamente di classe non può esimersi dal denunciare fin da oggi il disegno politico delle borghesie internazionali: è lecito prevedere che il capitale alimenterà una deriva guerrafondaia che potrà condurre a una nuova stagione di conflitti interimperialistici ( la grande borghesia ricorda bene i profitti che ha ottenuto nel corso della seconda guerra mondiale, prima con gli investimenti in armi, poi, eliminati massicciamente mezzi di produzione e lavoratori, con il “grande affare” della ricostruzione postbellica). Al contempo, in questo quadro di devastazione economica e sociale e di pesante attacco persino alle condizioni di vita minimali dei lavoratori, la borghesia è consapevole del rischio di una possibile esplosione del conflitto di classe, esplosione che potrebbe, in un momento storico in cui non ha briciole da distribuire, minacciare il suo dominio. Le esperienze più avanzate di conflitto di classe - dalla Francia alla Grecia - rappresentano un serio avvertimento agli occhi dei capitalisti. Anche in Italia, nonostante lo sforzo della propaganda padronale di occultare i fenomeni, seppure per ora isolati e frammentari, di lotta di classe in Italia (da Pomigliano all'Alcoa, dall'Alfa di Arese all'ex Eutelia), l'esperienza degli ultimi mesi dimostra che il conflitto operaio è ripreso e ha una grande capacità di contagio. La stessa lotta operaia all'Innse di Milano, con un anno di occupazione degli stabilimenti (occupazione ignorata da media ma che ha rappresentato il momento più significativo di quella lotta), dimostra che le esperienze di conflitto operaio possono estendersi in modo relativamente rapido. Infatti, il diffondersi su larga scala della pratica di "occupare i tetti" delle fabbriche - benché si tratti di un atto meramente dimostrativo - indica che tra la classe operaia comincia a diffondersi, confusamente, la consapevolezza che solo con la lotta è possibile difendere il posto di lavoro. Un primo salto di qualità si è avuto con la lotta degli operai dell'Alcoa in Sardegna: all'annuncio della decisione dell'azienda di dare il via alla cassa integrazione guadagni, gli operai - ormai consapevoli che la cig è sempre più spesso l'anticamera della disoccupazione - hanno occupato la fabbrica e "sequestrato" i manager, contrapponendo con la lotta le loro condizioni a quelle dei padroni. Successivamente, gli operai in centinaia - uniti al di là delle appartenenze sindacali - hanno sfondato un cordone della polizia e occupato l'aereoporto di Cagliari, bloccando le piste e gli aerei e imponendo al governo un incontro che è stato accompagnato da un presidio operaio prolungato sotto Palazzo Chigi. E' in questo quadro che si collocano i fatti di Rosarno: questi lavoratori immigrati, dopo aver superato le mille difficoltà del viaggio dai paesi subsahariani (e non solo) sino all'Italia, dopo aver dovuto lasciare per strada tanti compagni di viaggio, morti per fame, stenti ed incidenti, si sono trovati stipati in bidonville, degradate e senza alcun servizio minimo, neppure l'acqua, per lavorare nei campi dei padroni agricoli italiani al costo di pochi euro al giorno. Non fosse sufficiente questo, hanno dovuto subire delle aggressioni armate da parte di bande razziste e delle forze dell'ordine borghese. La loro lotta è stata un'espressione pura di quella energia sovversiva proletaria che deve essere d'esempio a tutta la classe lavoratrice. Al contempo la deportazione, nei giorni successivi, di questi proletari in centri di detenzione temporanea e la mancata solidarietà del resto della classe operaia ci indica anche che sono molti gli ostacoli da superare nella costruzione di una reale coscienza di classe. Più in generale, assistiamo, per ora, a episodi isolati e frammentari di conflitto operaio, privi di un coordinamento nazionale (e internazionale), assolutamente inadeguati a respingere la pesantezza dell'attacco padronale. Sono però episodi che preoccupano, a ragione, il padronato, che vede in essi la possibile scintilla di un conflitto di più ampie dimensioni (e per questo si prepara a farvi fronte, inasprendo le politiche securitarie: caccia all'immigrato, divieti di manifestare, ronde, inasprimento delle leggi sulla "sicurezza", ecc). In questo quadro, il sostegno dello Stato - col concorso delle Regioni, delle amministrazioni locali di qualsiasi colore e del Vaticano - risulta vitale alla borghesia per mantenere il suo dominio. Lo stesso utilizzo su larga scala degli "ammortizzatori sociali" finanziati dallo Stato - dalla cassa integrazione (ordinaria e straordinaria) ai contratti di solidarietà - svolge per il padronato il prezioso ruolo di "ammortizzatore del conflitto operaio", con il forzato allontanamento degli operai dagli stabilimenti (utile per scongiurare le occupazioni). Si tratta del semplice tentativo di protrarre uno stato di agonia, che prima o poi dovrà - una volta finite le risorse per gli ammortizzatori e di fronte alla prospettiva della disoccupazione di massa - portare a un'esplosione. Allo stesso tempo, l'utilizzo degli ammortizzatori ostacola la classe operaia nel respingere da subito, con una lotta ad oltranza, i licenziamenti e l'attacco padronale, fino a ribaltare i rapporti di forza. Il procrastinare il conflitto favorendo la lenta e progressiva espulsione della classe operaia dai luoghi di lavoro significa togliere agli operai stessi importanti armi di difesa: gli scioperi, i picchetti, le occupazioni, le azioni di massa prolungate.
Il ruolo delle burocrazie di Cgil, Cisl, Uil e Ugl in questo quadro
Di fronte all'attacco padronale e governativo - che ha definitivamente fatto piazza pulita di tutte le principali conquiste ottenute con le lotte degli anni '60 e primi anni '70 – la Cisl e la Uil (con l'Ugl) hanno risposto ritagliandosi il ruolo di ancelle del governo Berlusconi e di Confindustria, diventando i complici del peggiore attacco padronale alla classe lavoratrice dal dopoguerra ad oggi, veri e propri vassalli del governo e dell'imperialismo italiano. L'accordo quadro del 22 gennaio 2009 sulla riforma degli assetti contrattuali, le norme applicative del 15 aprile per il settore privato e quelle, forse peggiori, del 30 aprile 2009 per il settore pubblico, hanno dato il colpo di grazia alla contrattazione nazionale e al ruolo del sindacato. Con questo accordo, Cisl e Uil hanno rafforzato i contorni politico-organizzativi del nuovo modello di sindacato corporativo e cogestore della crisi a fianco del capitale, accentuando la subordinazione dei lavoratori alle compatibilità imposte dal sistema e dalla crisi. Allo stesso tempo, la Cgil (Fiom inclusa) - che pure è stata esclusa dal tavolo della concertazione ed è stata costretta a collocarsi in una posizione di pseudo-opposizione - ha risposto all'attacco padronale con una riduzione delle mobilitazioni (i dati ufficiali parlano di un vero e proprio crollo delle ore di sciopero in questo ultimo anno e mezzo). E quando ha chiamato alla lotta lo ha fatto con la solita routine di scioperi puramente dimostrativi, mai protratti al di là di una o mezza giornata di astensione dal lavoro, senza mai praticare alcuna lotta in modo conseguente fino al raggiungimento di un qualche obiettivo, sia pur minimo. Scioperi vuoti di contenuti e di radicalità che pesano sulle tasche dei lavoratori ma non hanno portato ad alcun risultato concreto (basta pensare allo sciopero farsa di 4 ore alla Fiat). Questo metodo di lotta crea alla lunga frustrazione e stanchezza nel mondo del lavoro, e viene utilizzato dalla direzione Cgil solo in funzione di riconquistare un ruolo egemone al tavolo della concertazione, oggi scalzato dalla Cisl. L'opposizione della Cgil al nuovo modello contrattuale non risulta credibile: continua a sostenere la subordinazione del salario alla produttività e alla redditività dell'impresa oltre che la triennalizzazione dei contratti, voluta da governo e Confindustria. Di fatto, la Cgil si limita a non rivendicare, formalmente, l'accordo, recependolo poi nella sostanza, così come è avvenuto e sta avvenendo per alcuni contratti firmati negli ultimi tempi (chimici, alimentaristi ecc). A questo, bisogna aggiungere il ruolo svolto dalle direzioni burocratiche della Cgil - incluse quelle della Fiom - nelle lotte operaie che stanno sorgendo in questi mesi. Come sempre nella storia, quando la lotta di classe tende ad acutizzarsi, gli apparati dirigenti dei sindacati mirano a controllare le masse lavoratrici al fine di disarmarle. Questo è già evidente nelle prime lotte che stanno sorgendo in questi mesi, sulla spinta della crisi capitalistica. La generosa disponibilità alla lotta, dimostrata dagli operai di tante fabbriche, viene sistematicamente tradita dai dirigenti (e spesso dagli stessi delegati) della Fiom, che smobilitano le lotte in cambio di accordi al ribasso (accordi che prevedono cassa integrazione straordinaria, mobilità, esuberi). Oggi più che mai risulta evidente che non solo le direzioni di Fim e Uilm, ma parimenti quelle della Fiom risultano sempre più un tappo all'esplosione di lotte operaie radicali e su larga scala. Non è un caso che la Marcegaglia abbia lodato il comportamento "responsabile" della direzione della Fiom persino nelle zone considerate "più calde". Da questo punto di vista, gli apparati dei sindacati concertativi rappresentano una risorsa preziosa per il padronato. Inoltre, è anche per la complicità e l'impegno attivo della Cgil che in molti settori la contrattazione collettiva e i diritti sindacali sono stati ridotti da tempo a carta straccia. I lavoratori di settori come l'agricoltura, l'edilizia, i servizi ecc, che sono spesso immigrati, conoscono come unica contrattazione quella del "mercato degli schiavi" giornaliero, gestito da caporali.
Sindacalismo di base e battaglia per il sindacato di classe
Tanto più in un momento di pesanti ristrutturazioni che implicano il licenziamento di milioni di lavoratori, diventa necessario costruire, nei luoghi di lavoro, una reale organizzazione sindacale di classe. Da questo punto di vista, giudichiamo positivamente l'avvio di un processo di ricomposizione e fusione di varie sigle del sindacalismo di base (RdB, SdL, Orsa, settori della Cub) nella costituente di una nuova confederazione. Riteniamo importante che in tale percorso arrivino a confluire anche gli altri settori del sindacalismo di base (a partire dalle altre componenti del Patto di base). In questo quadro, auspichiamo che si possa arrivare a una riunificazione, nell'ambito della costituente, anche con settori della Cub che hanno fatto altre scelte: le fratture tra i dirigenti della vecchia Cub - sfociate in pesanti attacchi reciproci anche pubblici, fino al ricorso alla magistratura borghese - risultano giustamente incomprensibili agli occhi dei nostri stessi attivisti (tanto più se contemporaneamente si costruisce insieme il Patto di base, presentato come unione di tutte le principali sigle del sindacato di base). La prospettiva strategica deve essere quella della composizione in un unico sindacato di classe, all'interno del quale viga una reale democrazia operaia. Esso dovrà essere non solo il prodotto dell'unificazione di tutte le sigle sindacali di base e dei settori classisti degli altri sindacati, ma anche l'espressione di una nuova stagione di lotte operaie (lotte che ancora oggi, malgrado la grave situazione, faticano a dispiegarsi completamente). Pur nel quadro del pesante attacco padronale - che sta progressivamente chiudendo tutti gli spazi di agibilità sindacale nei luoghi di lavoro (basti pensare al Decreto Brunetta nella pubblica amministrazione) - gli spazi per la costruzione e la crescita di un sindacato di classe sono ampi. Se le direzioni burocratiche di Cgil, Cisl,Uil e Ugl firmano i licenziamenti e mirano a dividere la classe operaia, sempre più palese sarà agli occhi dei lavoratori la vera natura di questi dirigenti. Crediamo indispensabile intercettare e guadagnare alla costruzione di un reale sindacato di classe i lavoratori disgustati e ingannati dalle burocrazie dei sindacati concertativi e quindi riteniamo utile la partecipazione a tutti gli scioperi e a tutte le manifestazioni potenzialmente conflittuali - sia locali che nazionali - anche se indetti dagli altri sindacati inclusi quelli concertativi, purché la nostra presenza si caratterizzi come critica aperta e frontale all'operato dei dirigenti traditori e collaborazionisti. Un nostro isolamento settario o autoreferenziale rispetto a quegli scioperi e a quelle lotte significherebbe in alcuni casi lasciare a quelle burocrazie il terreno libero per soffocare le lotte stesse. Parallelamente, occorre aprire un'interlocuzione costatante con i settori classisti presenti in Cgil (in particolare all'interno della Rete 28 aprile e nella Fiom), al fine di ipotizzare, nella prospettiva di un'ascesa delle lotte operaie, una frattura nella stessa Cgil in direzione della costruzione del sindacato di classe. Questo è tanto più necessario in quanto manca, ad oggi, nelle fabbriche una presenza radicata e significativa della costituente: la classe operaia industriale è ancora, nel nostro Paese, fortemente controllata dalla Fiom. Più in generale, il nostro compito è quello di indicare a tutti i lavoratori, ovunque collocati, la strada della costruzione di un reale sindacato di classe, che non può in quanto tale prescindere dall'organizzazione degli operai industriali. A tal proposito, riteniamo necessario definire con più chiarezza la proposta del "sindacato metropolitano", affinché non ci siano ambiguità e per evitare di procedere nella direzione della costruzione di un soggetto a metà strada tra sindacato e movimento, nell'illusoria ricerca di nuovi "soggetti sociali" che dovrebbero sostituire la classe lavoratrice.
Piattaforma, organizzazione, metodo di lotta
Affinché la costituente possa essere il perno attorno a cui costruire, sulla base della possibile ripresa delle lotte operaie nella prossima fase, l'embrione di un sindacato di classe, è necessario definire con chiarezza quali devono essere i cardini attorno a cui costruire una nuova organizzazione sindacale che sia espressione della contrapposizione degli interessi di classe delle masse lavoratrici contro il capitale. Prima di tutto, quindi, occorre avere chiari gli scopi di un sindacato di classe: difendere le condizioni di vita e di lavoro della classe lavoratrice attraverso piattaforme rivendicative e metodi che, allo stesso tempo, servano a organizzare un percorso di lotte ad oltranza fino al rovesciamento degli attuali rapporti di forza. Per questo, una piattaforma classista deve rivendicare anzitutto: il respingimento dei licenziamenti e la difesa di tutti i posti di lavoro; la difesa del salario, con forti aumenti salariali, maggiori per le categorie meno pagate, con la riduzione drastica delle ore di lavoro; l'assunzione a tempo indeterminato di tutti i lavoratori precari; la difesa degli strati più sfruttati della classe lavoratrice, a partire dagli immigrati; pieno salario, equivalente al salario medio, per i disoccupati e i sottoccupati; aumento delle pensioni; organizzazione dell'autodifesa operaia a partire dai picchetti di sciopero. Detto ciò si desume che risulta insufficiente la piattaforma avanzata dal sindacalismo di base in occasione dell'ultimo sciopero generale (23 ottobre): per fare un solo esempio, rivendicare la cassa integrazione (all'80% del salario), in un momento in cui essa appare - agli occhi di strati sempre più larghi del proletariato (come dimostra il caso dell'Alcoa) - un'anticamera della disoccupazione per premiare i profitti padronali, significa non avere chiaro il ruolo degli ammortizzatori sociali quali ammortizzatori del conflitto. Tali pratiche, applicate negli ultimi sessant'anni, hanno già mostrato, proprio in questa occasione, quanto fossero illusorie e quanto fossero opportune alla politica di pompieraggio di sindacati e padronato. Parallelamente, nessuna piattaforma può raggiungere dei risultati se non è accompagnata da un percorso di lotte ad oltranza che la sostanzi e la renda vincente. Non basta - tanto più in questa fase caratterizzata da espulsioni di massa dei lavoratori dalla produzione - indire scioperi generali a carattere meramente rituale. Bisogna mettere in campo una risposta adeguata alla pesantezza dell'attacco padronale, riappropriandosi degli strumenti di lotta classici del movimento operaio: dallo sciopero ad oltranza all'occupazione delle fabbriche, non accettando le logiche di compatibilità con la società borghese del capitale. E' necessario superare l'attuale frammentazione tra categorie artificialmente isolate (a partire dalla divisione tra lavoratori del privato e del pubblico impiego): i lavori sono accomunati dal fatto di subire lo stesso sfruttamento capitalistico e ogni frammentazione significa indebolimento. Al fine di superare il carattere isolato e frammentario delle lotte in corso, serve un sindacato che operi per unire le azioni delle differenti categorie di lavoratori in un'unica generale azione di classe. Il sindacato di classe deve contribuire a far sì che i lavoratori superino la limitatezza della singola fabbrica, dell'azienda, del comparto produttivo ma anche del settore e della categoria, per arrivare a mobilitarsi come classe in difesa degli interessi comuni. Parimenti importante è la definizione dell'organizzazione interna del sindacato, anche per evitare il rischio di degenerazioni opportunistiche. Occorrerà organizzare il sindacato sulla base della democrazia operaia: potere decisionale dei lavoratori nelle assemblee, revoca dei delegati in caso di mancato rispetto o tradimento del mandato, controllo delle assemblee da parte della base, costituzione di casse di solidarietà per le lotte cittadine. Nulla a che vedere con la farsa dei "referendum", con i quali i sindacati filopadronali svendono le lotte in cambio di una falsa democrazia sindacale che si traduce di fatto in un boomerang per i lavoratori (in quanto: troppo spesso è successo che siano stati utilizzati per legittimare accordi sindacali al ribasso, indebolendo la classe lavoratrice). Insomma, occorre superare l'ottica del “programma minimo di classe” e rompere realmente con le compatibilità di un capitalismo in putrefazione: serve un programma che nell'esperienza pratica di lotta dei lavoratori indichi l'inconciliabilità dei bisogni di classe con gli interessi dei padroni e che espliciti il superamento del capitalismo come asse strategico generale. Imprescindibile è un intervento volto a costruire una solidarietà internazionale dei lavoratori, interloquendo con tutti quei settori - sindacali e di lotta (comitati operai, ecc) - di altri Paesi che si pongono sul terreno della indipendenza di classe dalla borghesia e dai suoi governi.
Elenco firmatari
Stefanoni Fabiana (Insegnante RdB Cub Scuola Modena); Angius Federico (Esecutivo regionale RdB Cub Sardegna); Pezzi Emanuele (Operaio stabilimento Marcegaglia, RdB Cub Metalmeccanici Cremona); Bocchese Riccardo (Impiegato, Coordinamento regionale RdB Cub, Rsu Comune di Malo (Vi); Caratozzolo Silvio (Insegnante, RdB Cub Scuola Reggio Emilia); Bonomi Stefano (Rete Operaia Val Seriana, RdB Cub Bergamo); De Vita Enzo (Coordinamento nazionale RdB Cub); Maser Gianfranco (Delegato Latina Ambiente Spa, RdB Cub Latina); Turetta Maria Teresa (Impiegata, Rdb Cub, Rsu Comune di Vicenza); Amoroso Vitalba (Lsu, RdB Cub Latina); Andreoli Patrizia (Impiegata Inps, RdB Cub Latina); Ballarin Rina (Delegata RdB Cub, impiegata Comune di Vicenza); Barbato Claudio (Operatore Sociale Cooperativa, Rdb Cub Vicenza); Bellini Vanda (Impiegata Inps, RdB Cub Latina); Bertelli Fabio (RdB Delegato RSU, Opificio Pietre Dure di Firenze); Biasin Maurizio (RdB Cub Agenzie Fiscali Vicenza); Bollini Daniela (Delegata Rdb Cub, insegnante scuola d’infanzia Comune di Vicenza); Borò Donata (RdB Cub, addetta cucine asilo nido Comune di Vicenza); Bortolotto Anna Rita (Impiegata, Rdb Cub Comune di Vicenza); Bosco Rossella (Disoccupata, RdB Cub Salerno); Bruna Giuseppe (Operatore sociale, Rdb Cub Sanità Cremona); Bucatari Giovanna (RdB impiegata Comune di Vicenza); Cammarata Patrizia (Impiegata, Rdb Cub Vicenza, Rsu Comune di Vicenza); Campanari Massimo (RdB Cub Latina); Cappettini Mino (Autoferrotranviere, Cub trasporti/Al Cobas, Milano); Cappuccio Salvatore (RdB Cub Inail, Napoli); Caschera Enzo (Lsu, RdB Cub Latina); Cassarino Maria (Rdb Cub, insegnante scuola d’infanzia Comune di Vicenza); Cimenti Laura (RdBCub,impiegata Comune di Thiene (Vi); Climati Luca Massimo (RSU pubblico impiego RdB INPAP Roma); Comparin Elena (Delegata RdB Cub, educatrice asilo nido Comune di Vicenza); Contessa Claudio (Operatore sociale, RdB Cub Bari); Cosentino Angelo (Rdb Cub Beni Culturali Pescara Abruzzo); Dal Cortivo Stefano (Insegnante, RdB Cub Scuola Vicenza); De Feo Domenico (Ferroviere, RdB Cub Trasporti Salerno); Del Sonno Domenico (Lsu, RdB Cub Latina); Di Pietro Antonietta (Insegnante, RdB Cub Scuola Bologna); Faiola Danilo (Lsu, RdB Cub Latina); Fedeli Massimiliano (Delegato Latina Ambiente Spa, RdB Cub Latina); Florio Concetta (Insegnante, RdB Cub Scuola Bologna); Franco Claudio (Tribunale di Vicenza, operatore, delegato RdB Cub); Frigoli Angelo (Infermiere, Rsu ospedale di Cremona, Rdb Cub Sanità); Galeotto Alberto (Insegnante, Rdb Cub Scuola, Vicenza); Guarnaccia Giuseppe (Operatore call center, RdB Cub Salerno); Leggi Giovanni (RdB Cub Latina); Lemma Giovanni (Impiegato, RdB Cub Sanità Pesaro); Litturi Clara Edilena (RdBCub, educatrice Asilo Nido Comune di Vicenza); Madonna Valeria (Lsu, RdB Cub Latina); Mantovani Ruggero (Legale RdB Cub); Marini Michela (Lsu, RdB Cub Latina); Masini Mila (RdB Cub Scuola Pesaro); Mazzolini Alessandro (Operaio agricolo, RdB Cub Cremona); Michelon Anna (Rdb Cub, insegnante scuola d’infanzia Comune di Vicenza); Micucci Giuseppina (Rdb Corte dei Conti Roma); Naselli Giuseppa (Impiegata, Rdb Cub Bologna, Rsu tribunale di Bologna); Pala Gianluigi (Operaio chimico, RdB Cagliari); Peronato Emanuela (RdB Cub, educatrice asilo nido Comune di Vicenza); Picarella Gerardo (RSA SDL Aeroporto di Napoli); Pompili Dino (Lsu, RdB Cub Latina); Potenza Maria Pia (Impiegata, Rdb Cub Bologna, Rsu Sbap, delegata regionale Beni culturali); Pozzato Luisa (RdbCub, insegnante scuola d’infanzia Comune di Vicenza); Raiola Giuseppe (Insegnante, RdB Cub Scuola Reggio Emilia); Rasà Giuseppe (Impiegato Provincia Vicenza, Rdb Cub); Reniero Andrea (Operaio RdB Cub Comune di Castelgomberto); Rigon Ettorino (RdB Cub, esecutore operaio, gestione Scuole d’infanzia, Comune di Vicenza); Rizzato Patrizia (Rdb Cub, insegnante scuola d’infanzia Comune di Vicenza); Scalia Antonio (Infermiere, RdB Cub Sanità Cremona); Seniga Mirko (Operaio edile, RdB Cub Cremona); Sguazzabia Laura (Insegnante, RdB Cub Cremona); Spanu Cristina Maria (Lsu, operaia, RdB Cub Cagliari); Valente Daiana (Operaia, RdB Cub Cremona); Vallesella Gino (Insegnante, Rdb Cub Scuola Vicenza, Coordinamento provinciale Rdb Cub); Vicari Annamaria (Impiegata, delegata Rdb Cub, Provincia di Vicenza); Zenere Raffaele (Dipendente della Provincia, Rdb Cub Vicenza, delegato provinciale);