Intervista agli operai dell'ALCOA occupata.

 

Sui giornali borghesi di questi giorni (vedi Repubblica ) troviamo bislacche analisi sul "ritorno" delle tute blu e sulla loro uscita dall'invisibilità sociale. Come se stessero parlando di un nuovo vestito tornato alla moda e, indagando a vanvera i motivi di tanto rumore operaio, evitano di porsi la domanda più semplice: esiste ancora una classe operaia? Non si danno una risposta perché sanno che essa costituirebbe una dura e inappellabile condanna per i loro padroni e finanziatori. Una delegazione del Pdac della Sardegna è andata a incontrare questa classe. Siamo andati a presentare la nostra solidarietà ai compagni operai in lotta dell'Alcoa di Portovesme in Sardegna e abbiamo rivolto loro qualche domanda. L'intervista la facciamo con Angelo Diciotti della FlmUniti Cub di Carbonia rappresentante sindacale proprio dell'Alcoa, impegnato da anni nella lotta sindacale e in prima linea per il riconoscimento degli indennizzi pensionistici per l'esposizione all'amianto. Il vento gelido che sferza il piazzale riesce a malapena a stemperare il clima caldissimo che si respira. Davanti al cancello dove parliamo è stata adagiata una struttura metallica per impedire l'ingresso ai camion che trasportano il materiale.
Due tende costituiscono un debole riparo dal freddo ma anche un solido presidio operaio. Appena avviciniamo Angelo capiamo che l'intervista avrà un andamento discontinuo a causa del momento denso di impegni. Mentre infatti cominciamo a rivolgergli qualche domanda veniamo accerchiati da decine di operai che vogliono sentire e intervenire e rivolgere essi stessi qualche domanda ad Angelo. Ci adattiamo ben volentieri all'irregolarità dell'intervista. C'è chi chiede se la lista di chi parte per Roma giovedì è pronta. Qualcun altro ha paura della cassa integrazione. Angelo risponde a tutti e fuga ogni incertezza sulla marcia comune e intransigente delle organizzazioni sindacali. Per ogni passo nostro – dice – i sindacati hanno da farne almeno tre, questa è la regola. Allora ne approfittiamo per iniziare.

(DOMANDA) Federico Angius: Angelo, chi paga il viaggio? (Angelo si rivolge ad un operaio che gli sta affianco e che risponde per lui).
(RISPOSTA) Noi, ancora noi come per i precedenti viaggi ci tassiamo e mettiamo i soldi delle tessere (sindacali, ndr). Saremo più di trecento e partiremo a scaglioni, cinque pulmann ci porteranno ad Olbia dove ci imbarcheremo alla volta di Roma dove faremo un presidio davanti al ministero di Scajola, che ha fatto gia sapere che non ci sarà.

(DOMANDA) Questa volta come fronteggerete il problema delle cariche?
(RISPOSTA) Siamo stati strumentalizzati, in realtà noi non abbiamo fatto nulla, questa volta abbiamo deciso che ogni partecipante dovrà vestire la tuta ed il casco della fabbrica per essere riconoscibile ed evitare così le pretestuose accuse di infiltrazioni non meglio identificate.

(DOMANDA) Cosa vi aspettate da questa ennesima coraggiosa manifestazione?
(RISPOSTA) Nulla, non ci facciamo illusioni, i padroni americani della multinazionale hanno già messo in atto tutte le procedure utili alla chiusura degli impianti: comunicazione al ministero del lavoro, ecc. Ora è il governo che deve dare risposte, o meglio mantenere le promesse fatte.

(DOMANDA)Quali sono state queste promesse?
(RISPOSTA) Riduzione delle tariffe energetiche. Questo è il motivo della chiusura: l'energia costa troppo. E a farne le spese sono gli operai. 

(Ogni tanto veniamo interrotti da qualche operaio che argomenta qualche teoria sul futuro. Si discutono alternative energetiche, il nucleare viene scartato subito ma si torna al punto di partenza. Qui l'Enel, ci dice Angelo, ha un monopolio inattaccabile e incontrollabile).

(DOMANDA) Se giovedì non otterrete nulla cosa siete disposti a fare?
(RISPOSTA) Continuare a lottare per far capire a questi signori che non ci arrendiamo

(DOMANDA) E l'episodio del rapimento del direttore denunciato dalla stampa qualche giorno fa?
(RISPOSTA) È stato solo uno scherzo. (Mentre un operaio lo dice, gli altri ridono. Un altro rincara la dose).  Altro che rapirlo, bisognerebbe mettere uno di noi al suo posto oppure uno indicato da noi operai. (Attorno a questa affermazione di uno degli operai più giovani si accende un aspro dibattito che viene chiuso da un salomonico Angelo). Ce lo lasciano fare a noi il lavoro del direttore? no? E allora confidiamo nella lotta. L'Alcoa non vuole promesse ma fatti concreti per abbassare i costi dell'energia elettrica per evitare la chiusura dell'impianto di Portovesme. In altre parti del mondo l'energia elettrica per uso industriale viene pagata meno che da noi, con una netta perdita di introiti, per cui non converrebbe continuare a tenere aperto lo stabilimento sardo; per loro sarebbe più semplice e redditizio chiuderlo e aprirlo da un'altra parte con costi dell'energia più ridotti. Una legge del 2005 che prevedeva il ribasso del costo energetico è stato impugnata dall'Unione Europea, che l'ha bocciata come aiuto di Stato e che, per questa ragione, ha imposto alla stessa Alcoa di rimborsare quei soldi. Essendo in Italia solo due le tariffe di costo energetico, e capitanate da una sola industria, l'Enel, non si può pensare che il governo faccia un favore all'Alcoa sarda e non a un'altra industria del continente perché così facendo si rischia che l'Unione Europea li qualifichi come aiuti di Stato e che blocchi tutto quanto, ritornando al punto di partenza. Lo Stato Italiano deve fare un decreto legge per l'Alcoa sarda strutturato in modo tale che non possa essere impugnato dall'Unione Europea. La soluzione sarebbe suddividere i costi dell'energia elettrica in più fasce di utenti dai privati cittadini alle industrie primarie e alle industri secondarie. Da noi in Italia esistono solo due tariffe.

(DOMANDA) Vi faccio una provocazione. Giovedì andate, manifestate e non ottenete nulla. Venerdì cosa siete disposti a fare? che speranze avete?
(RISPOSTA) Noi almeno abbiamo una possibilità e ce la giochiamo, noi confidiamo in ciò che possiamo ottenere. Rispetto a loro (indica con la mano aperta le fabbriche attorno che sono chiuse oppure in una crisi senza ritorno, ndr) abbiamo una opportunità che non vogliamo abbandonare, non vogliamo mollare.

Ma ora devono andare perché si stanno chiudendo le liste. Ci salutiamo e auguriamo loro una buona manifestazione.

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